Dall’antica Grecia a oggi, gli uomini continuano a uccidersi per ragioni di confine e smanie di potere, come se la guerra fosse parte del nostro DNA. Missili, armi chimiche hanno preso il posto di spade e giavellotti, in un’escalation che sa di involuzione più che di evoluzione.
Il conflitto in Ucraina, così come gli altri in corso nel mondo, sembra contraddire la massima ciceroniana per cui la “storia è maestra di vita”. È di questi giorni la notizia di forni crematori mobili che sarebbero stati utilizzati dai russi a Mariupol, riaccendendo vecchie, terribili memorie. Siamo, quindi, portati a credere che il passato non abbia insegnato nulla. Ma un atteggiamento arrendevole e rassegnato al corso degli eventi non è ciò di cui abbiamo bisogno. È anzi il momento di guardarci intorno, guardarci indietro e provare finalmente a imparare qualcosa. A cominciare, proprio, dal mondo antico.
Lo studioso Matteo Nucci, autore tra gli altri, per Einaudi, delle Lacrime degli eroi e di Achille e Odisseo, è stato ospite del Libro Possibile Winter. Qui, davanti a una platea piena di giovani, ha messo in luce due preziose lezioni, rinvenibili nei grandi poemi greci di Omero, dalla rilevanza incredibilmente attuale.
La prima è contenuta nella xenía, legge sull’ospitalità posta a fondamento della civiltà greca: accogliere lo straniero, rifocillarlo, senza chiedergli da dove venga e dove stia andando. Ne sono esempi l’episodio di Ulisse nell’isola dei Feaci e, ancora, il momento in cui Ulisse fa ritorno nella sua Itaca nei panni di mendicante.
“Nell’orrore di quello che stiamo vivendo – dice Nucci – assistiamo a un bell’esempio di solidarietà nei confronti degli ucraini. Ma è altrettanto evidente la disparità di trattamento rispetto ai profughi di altre parti del mondo. I greci ci insegnano che non conta la provenienza di chi chiede asilo; ciò che importa è che sta fuggendo e va accolto, chiunque sia”. Non a caso la parola xenos (da cui xenía) vuol dire insieme straniero e ospite. Ed è questo concetto che dovremmo far nostro, ora come allora, una volta per tutte.
La seconda lezione si trova in un episodio dell’Iliade. Priamo, re di Troia, va nella tenda di Achille, il guerriero più temuto dello schieramento nemico, per chiedergli il corpo del figlio Ettore.
“Qui succede una cosa clamorosa – dice Nucci – Priamo si trova davanti l’uomo che ha ucciso suo figlio ma, improvvisamente, non lo odia. In lui rivede il suo Ettore; un giovane eroe, che sta soffrendo e che probabilmente morirà in battaglia. Così Achille, mentre guarda Priamo, vede un vecchio addolorato per la perdita del figlio, e pensa a suo padre. Achille sa che non tornerà mai a casa, ha capito che morirà, e pensa a suo padre, che non potrà riabbracciare”.
In questo episodio potente e significativo, Priamo e Achille si riconoscono come esseri umani, non come avversari, allora si abbracciano e piangono insieme.
“Nella guerra atroce raccontata da Omero – continua Nuzzi - i due più grandi nemici capiscono che alla fine siamo tutti padri e figli; fratelli, sorelle. Siamo tutti la stessa umanità”.
E conclude: “Ce lo dice l’Iliade, il poema della guerra per eccellenza, che la guerra non porta da nessuna parte”.