Giovanissimo viene condannato all’arresto per piccoli reati. In cella trova l’uomo che diverrà il capo di cosa nostra: Totò Riina, che lo ammaestra alla cultura criminale mafiosa e lo raccomanda a Rosario Riccobono, capo mafia dei quartieri Partanna e Mondello. All'uscita dal carcere, Mutolo viene, infatti, arruolato come autista personale del boss di Partanna-Mondello..
Divenuto uomo di spicco della mafia siciliana, Mutolo si fa carico di molti crimini e omicidi. Conquista, così, la fiducia di alcuni uomini di comando e si arricchisce in tempi brevi, soprattutto con il traffico della droga.
Scampato alla mattanza dalla seconda guerra di mafia, graziato dallo stesso Riina che non aveva dimenticato l’amicizia nata nel penitenziario, si ritrova qualche anno dopo presso il carcere di massima sicurezza di Sollicciano a Firenze, su mandato del giudice Falcone.
Tra queste mura e attraverso l’amicizia con l’ergastolano Francesco Mungo, si innamora dell’arte e della pittura avviando quella che sarebbe divenuta la sua più grande passione.
Nel 1991 distante dalla linea sanguinaria generata da Riina e sollecitato da sua moglie, e attraverso la stima instaurata con Giovanni Falcone, decide di collaborare, divenendo, al pari di Buscetta e Contorno, uno dei più noti e importanti pentiti della storia.
A pochi mesi dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, è uno degli ultimi testimoni ad essere interrogato da Paolo Borsellino alla vigilia del tragico 19 luglio del 1992.
Note sono le sue deposizioni sui politici Salvo Lima, Giulio Andreotti, l'ex funzionario di polizia Bruno Contrada i magistrati Corrado Carnevale, Carmelo Conti, Pasqualino Barreca, Domenico Mollica, Francesco D'Antoni e Domenico Signorino (che si suicidò non appena apprese la notizia).
Dal 2022 decide di rinunciare alla scorta e alla protezione dello Stato, interviene in varie trasmissioni televisive come le Iene o Non è l'Arena di Massimo Giletti.