E Antonella Viola nel suo ultimo libro dà consigli di longevità, che ammaestrano corpo e spirito. Perché è possibile anche invecchiare in modo sostenibile, è possibile fare i conti con la propria fragilità, rendendola forte. Non è un paradosso biologico, se la vita che si sceglie è una vita di cura e attenzione, ma soprattutto una vita senza accanimento. Il motivo dell’accanimento sta spesso nel fatto che l’invecchiamento è un concetto in cui si mescolano biologia e cultura. Il capello bianco non accettato, la ruga non accolta, la pelle che cambia e muta l’immagine. Non c’è da difendersi forse dalla vecchiaia, ma dal preconcetto sì. L’accanimento sul mutamento è il vero paradosso, poiché il mutamento è nella natura delle cose: non accettarlo è paradossale, oltre che individualista. Noi cambiamo assieme ad un contesto, che si chiama ambiente in quanto ‘va’ (-ient-), esiste attorno (amb-, dal greco amphi, ‘intorno’) a noi, per definizione etimologica. Non accettare il cambiamento sul corpo è di fatto opporsi all’armonia dell’ambiente, con forme deleterie di inconsapevolezza.
In Italia, l’aspettativa di vita media è di 84 anni. Le quarantenni, i quarantenni sono ‘persone di mezza età’, dunque. E questa è convenzione statistica, per quanto non esista una convenzione culturale o spirituale che dia un’età a vecchiaia e giovinezza. Essere giovani, o sentirsi giovani, essere vecchi o sentirsi vecchi: dove la biologia può incontrare la spiritualità e sposarla? Fino a che punto è possibile? Jeanne Calment, una casalinga di Arles, in Provenza, mancata nel 1997 all’età di 122 anni e 164 giorni, è ad oggi la persona più longeva che sia mai esistita. Il suo esempio ci dice che il tetto massimo dell’età è allora flessibile, e così testimonia anche la vita di Sarah Knauss, mancata a 119 anni.
Ma ricorriamo ancora all’etimologia: in greco la parola ‘vita’ è bíos. Se accentata diversamente, biós, significa ‘arco’, un cerchio, cioè, che non è destinato a chiudersi e ricominciare, ma che conosce una sua fine e non si ricongiunge all’origine. E questo per gli antichi greci non era un dramma, in quanto la fine equivale comunque a nuovo inizio. Così in genetica: i singoli individui muoiono, ma i geni continuano a vivere nelle generazioni successive. Dal punto di vista evolutivo, la morte, seppure non necessaria, non rappresenta neanche un problema.
Lo scopo della vita, in senso biologico, consiste di fatto nel diffondere il proprio DNA, cioè il proprio messaggio. Un po’ come accade tra gli esseri umani per le idee: ciascuno diffonde la propria, nel migliore dei mondi possibili la mette in circolo, come diversa e preziosa, se è un’idea curata, attenta, studiata.
A questo ci educa la professoressa Antonella Viola, che oggi considera L’evoluzione della specie di C. Darwin un libro rivoluzionario, in quanto valorizza l’errore, l’imperfezione come fonte di vita: ogni volta che un essere vivente trasmette il suo messaggio genetico, attua una mutazione e, ‘sbagliando’, genera vita. Questo miracolo fa sì che il pianeta sia pieno di diversità, di corpi infinitesimamente vari, la cui esistenza va preservata. Uno strumento per farlo c’è, e non è solo un vecchio adagio: lo stile di vita. Avere uno stile di vita sano è garanzia di un tempo e di un ambiente sani.
Su questo lavora oggi la medicina del futuro, quella delle 4 P: preventiva, personalizzata, partecipativa, predittiva. Una medicina che consiglia la via dell’equilibrio, attraverso la quale ciascuno possa lasciare un segno, un bel segno da replicare, che, per dirla con parole di Bob Dylan (in apertura al capitolo 12), consenta di restare forever young.
Il 7 luglio Antonella Viola sarà sul palco del festival a Polignano a Mare, a ricordarci che è necessario avere cura di noi stessi, per prenderci cura del mondo.